Le carte di questo mazzo mettono in luce, e a confronto, l’emissione di CO2 che viene prodotta durante determinate attività legate alle cose che usiamo tutti i giorni.
Con i pannolini usa e getta, in un anno, ogni bambino produce circa una tonnellata di rifiuti non biodegradabili e difficili da smaltire. In Italia gli usa e getta rappresentano il 20% sul totale dei rifiuti presenti nelle discariche e il loro tempo di smaltimento può arrivare fino a 500 anni.
Per la sola produzione europea di pannolini usa e getta (che corrisponde a circa
25 miliardi di pannolini monouso all’anno) vengono immessi nell’ambiente
oltre 110.000 tonnellate di plastica e sacrificati circa
350.000 alberi per la cellulosa.
Inoltre, per la produzione di un comune
pannolino usa e getta, sono impiegati fibre sintetiche e prodotti chimici per
rendere i filtranti funzionali, come il poliacrilato di sodio (un gel super
assorbente), tensioattivi e paraffine: prodotti derivanti dal
petrolio, che sono tossici per i bambini, per gli animali
e per le piante. Utilizzando i pannolini lavabili e le corrette
condizioni di lavaggio, si ridurrebbero drasticamente le emissioni di gas inquinanti
e le quantità di rifiuti da smaltire e migliorerebbero le condizioni di
salute dei bambini e dell’ambiente.
Fonte: www.hellogreen.it
Ogni anno nel mondo si producono oltre 20 miliardi di paia di scarpe, con un impatto ambientale assolutamente non trascurabile. Il motivo è presto detto: le calzature sono prodotti complessi che richiedono l’impiego di molti materiali e processi di produzione diversi, entrambi fattori che incidono notevolmente sull’impatto ambientale complessivo del prodotto. Ovviamente, a questo va aggiunto che tutte le calzature immesse sul mercato presto o tardi arriveranno alla fine del proprio ciclo di vita, diventando un rifiuto da smaltire spesso con non poche difficoltà.
A questo si affianca un aspetto talvolta trascurato, legato alle immissioni di gas inquinanti che derivano dal trasporto di questa tipologia di prodotti: questo perché più che per altri settori produttivi, il trasporto è un aspetto fondamentale nel settore calzaturiero, dal momento che la maggior parte delle grandi aziende produttrici scelgono di costruire fabbriche in Paesi in cui la manodopera risulti a basso e bassissimo costo, con la conseguente necessità di distribuire successivamente le calzature nei diversi mercati internazionali.
Anche parlando di materiali impiegati nella produzione, le calzature risultano un prodotto altamente inquinante. Ciò che accomuna le decine e decine di tipologie di scarpe esistenti, è l’impiego di una grande varietà di materiali per la produzione, tra i quali spiccano per frequenza di uso il cuoio – la cui produzione è insostenibile dal punto di vista etico e ambientale – la tela, il poliuretano e il PVC a cui si aggiungono, a seconda della tipologia di scarpa, chiodi, lacci, occhielli in metallo, fili, velcro, tessuti di vario genere, schiume (per l’imbottitura), supporti per il tallone, rinforzi e tacchi. In media, si calcola che per la produzione di un solo paio di scarpe si utilizzino complessivamente 40 tipi di materiali diversi, il cui impatto ambientale è da calcolare anche singolarmente.
Fonte: www.veganok.com
I processi industriali e artigianali liberano ossidi di azoto, diossido di zolfo, polvere, composti organici volatili (COV) e altri inquinanti. Gli inquinanti atmosferici provengono direttamente dalla combustione di petrolio, carbone e gas o rientrano tra le emissioni legate ai processi.
La produzione del cemento richiede grandi quantità di combustibile. Oltre ai combustibili fossili come carbone, olio «extra leggero», olio «pesante», coke di petrolio e gas, i sei cementifici svizzeri impiegano anche combustibili alternativi quali oli usati, fanghi di depurazione, legno usato, solventi, pneumatici, grasso e farina animale, materie plastiche e rifiuti provenienti dall'agricoltura e dall’industria.
Fonte: www.bafu.admin.ch
La produzione di cemento e acciaio - i componenti principali del calcestruzzo - genera il 15% circa di tutte le emissioni globali di anidride carbonica, il gas in maggior misura responsabile della crisi del clima
Fonte: www.repubblica.it
Nell'estrazione dell'oro si impiegano sovente sostanze chimiche altamente tossiche come il mercurio e il cianuro, che entrano nell'aria, nel terreno e nell'acqua. Ciò incide sulla biodiversità e mette in pericolo la salute della popolazione locale.
Fonte: www.wwf.ch
Nonostante i passi avanti fatti sul tema della plastica, entro il 2030-2035 la produzione di materie plastiche raddoppierà rispetto ai volumi del 2015, mentre entro il 2050 i volumi triplicheranno. Questo l’allarme lanciato dal rapporto “Plastica: emergenza fuori controllo” realizzato da Greenpeace. Più della metà della plastica mai creata dall’uomo è stata prodotta tra il 2000 e il 2015. Purtroppo circa il 40% della produzione mondiale è per plastica monouso: imballaggi e contenitori progettati per diventare in poco tempo un rifiuto difficile da riciclare, che contribuisce ad aggravare l’inquinamento “in modo preponderante”. Secondo alcune stime, di tutta la plastica prodotta nella storia umana, infatti, solo il 10% è stato correttamente riciclato.
Fonte: www.iconaclima.it
Le emissioni più significative associate alla produzione editoriale riguardano l’anidride solforosa (S02), gli ossidi di azoto (NOX), i composti organici volatili (COV) e i gas ad effetto serra come anidride carbonica (CO2), metano (CH4) e ossido di nitrogeno (N2O).
L’industria editoriale è responsabile anche di un elevato consumo di acqua poiché vengono utilizzati fino a cento litri di acqua per fabbricare un chilo di carta: per produrre una tonnellata di carta vergine occorrono quindici alberi, fino a 440 mila litri di acqua e 7600 kilowatt di energia elettrica.
La lavorazione della materia prima è l’aspetto che influisce maggiorente sull’ambiente poiché consiste nella raccolta e lavorazione del legno
Un metodo per ridurre l’impatto ambientale è quello di utilizzare carta riciclata. Ciò permette di contenere il numero di alberi da tagliare e di generare meno scarto e quindi meno gas serra.
Spesso viene fatto un parallelo fra libro di carta e e-reader ma si deve tenere conto, di una sostanziale differenza tra i due manufatti: il libro di carta funge da supporto per un solo testo, mentre l’e-reader può ospitare centinaia di e-book, ovvero decine di milioni di caratteri. Ecco perché ha poco senso comparare costi e impatto ambientale associati ai processi produttivi dei due apparati.
La produzione di un e-reader ha senz’altro un impatto superiore a quello di un singolo libro, ma inferiore a quello di centinaia di volumi. Quindi un e-reader diventa tanto più “green” quanti più libri elettronici – ovvero testi in formato digitale – ospita.
Fonte: www.spindox.it
L’industria mineraria, in particolare quella per l’estrazione dell’oro, è fra le più inquinanti del mondo. Nella quasi totalità dei casi, quando si acquistano gioielli, soprattutto in oro, ma anche in platino o contenenti pietre preziose, non è possibile sapere da dove provengono i metalli. L’attività estrattiva è responsabile (nei Paesi in cui i controlli sono blandi o inesistenti, che casualmente (?!) sono sempre quelli del Terzo Mondo, dove speculare è facile) dell’avvelenamento dei fiumi, dei terreni o del mare.
È opportuno ricordare che i minerali (metalli e pietre preziose) sono una risorsa non rinnovabile e quindi, una volta esaurita la miniera, la compagnia si sposterà per sfruttare un altro territorio e tutto quello che resterà alle popolazioni locali saranno terra, aria e acqua avvelenate da cui è impossibile trarre alcun sostentamento e, con ogni probabilità, affezioni polmonari e altre malattie. Non è casuale che le nazioni con il più alto numero di miniere siano anche quelle più povere.
Fonte: www.veganok.com
Le buste di plastica nascono dal petrolio, il quale in una minima percentuale viene impiegato nella produzione di questi oggetti. La plastica è costituita in gran parte da materiali organici dall’alto peso molecolare, i quali spesso vengono miscelati a polimeri puri e miscelati con varie cariche; da ciò si può desumere che la composizione di questo materiale è particolarmente complessa. Le buste di plastica presentano un gradissimo rischio per la salute dell’ambiente, poiché non sono biodegradabili; per questo motivo sono uno dei principali fattori di inquinamento, sopratutto per il mare.
Le buste di carta possono costituire, allo stesso modo delle buste di plastica, un
problema per l’ambiente.
Tuttavia, nonostante gli svantaggi di queste
ultime, le buste di carta possiedono una serie di qualità positive da
prendere in considerazione.
Innanzitutto, nella raccolta differenziata, le buste di carta riescono ad assorbire meglio l’umidità, permettendo così di contenere al loro interno una maggiore quantità di scarti rispetto alle corrispettive in plastica; inoltre la carta viene stereotipatamene associata ad un materiale naturale, poiché deriva dagli alberi, per questo motivo si pensa che sia più vicina alla natura a causa del processo produttivo che la da alla luce.
Ci sono tuttavia, una serie di note negative legate al riciclaggio e allo smaltimento della carta, poiché quest’ultima richiede più tempo per essere riciclata, e necessita di un dispendio energetico molto più ingente rispetto a quanto sia richiesto per la plastica.
Fonte: www.elvicart.it
Anche la carta igienica inquina: soprattutto quella troppo morbida. Meglio usare quella un po' più ruvida fatta con carta riciclata
La carta igienica si produce a partire dalla cellulosa, quindi dagli alberi, e dalla carta riciclata: più alto è il contenuto di fibra vegetale nuova più la carta risulta essere morbida e soffice. E secondo Greepeace gli americani, nonostante la maggior sensibilità ai temi ecologici, sono tra i maggiori consumatori mondiali di carta supersoffice: solo il 2% dei produttori d'oltreoceano utilizza infatti materiale riciclato. Molto poco, soprattutto se paragonato al 20% dei marchi europei.
A farne le spese sono le foreste secolari del Canada e del Sud America: meno della metà della polpa impiegata per produrre carta igienica proviene infatti da boschi coltivati. Il resto deriverebbe da antiche foreste di seconda crescita, essenziali nell'assorbire il diossido di carbonio, uno dei maggiori responsabili del riscaldamento globale.
Fonte: www.focus.it
I rifiuti producono inquinamento: liquami, gas, sostanze tossiche e materiali non biodegradabili possono inquinare aria, acqua, terra. I rifiuti costano: rubano spazio e occorrono risorse umane ed economiche per il loro trattamento, ma anche per rimediare ai danni ambientali e sanitari che producono.
La Comunità Europea ha elaborato delle precise direttive, che sono state recepite da leggi nazionali e regionali, per il trattamento dei rifiuti, secondo ben precise priorità:
In Italia, in un solo anno (2002), sono stati prodotti 29.787.587 tonnellate di rifiuti solidi urbani, pari a circa 522,6 Kg. per persona
Fonte: www.halleyweb.com
Nove fiori su 10 di quelli che compriamo arrivano da campi distanti migliaia di chilometri e sono frutto di una coltivazione intensiva basata sull’utilizzo di pesticidi ed erbicidi.
Bisogna scegliere fiori coltivati localmente, con ridotte emissioni connesse al trasporto, legati alla stagionalità e prodotti senza uso di diserbanti e concimi chimici.
Dal Kenya provengono 4 fiori sui 10 venduti in Europa, L’Olanda è il più grande centro commerciale di smistamento di fiori recisi d’Europa: passa da lì il 40% delle esportazioni. Un forte impatto ambientale è dunque quello connesso al trasporto.
Vanno poi aggiunti altri impatti connessi al ciclo produttivo. Per ottenere grandi quantità di fiori tutti uguali - come richiede il mercato - occorre una coltivazione intensiva che utilizza pesticidi e diserbanti. Non solo. Per coltivare i fiori serve una notevole quantità di acqua, spesso sottratta ad altri usi. C’è infine l’aspetto della conservazione. Per far arrivare i fiori a destinazione entro due tre giorni e in ottime condizioni occorre una serie di interventi: devono essere trattati sostanze chimiche per fermarne lo sviluppo, refrigerati e conservati a una temperatura di 7-10 gradi.
Fonte: www.huffingtonpost.it
Il settore della moda emette ogni anno più di un miliardo di tonnellate di gas serra, che rappresentano il 2% delle emissioni totali.
In generale, poi, l’industria della moda è una delle più inquinanti verso le risorse idriche. Gli esperti hanno infatti stimato che il 20% dell’inquinamento delle acque industriali nel mondo è proprio causato dal trattamento e dalla tintura dei tessuti.
Inoltre, l’industria della moda è una di quelle a più alta intensità di elettricità al mondo, perché consuma tantissimo e fa poco uso delle fonti energetiche rinnovabili.
Ad oggi, rappresenta la seconda industria più inquinante dopo il petrolio. Ciò è dovuto, in particolar modo, all’utilizzo di pesticidi, formaldeide e agenti cancerogeni utilizzati per la produzione dei tessuti impiegati nella realizzazione degli abiti.
Infine, sia le aziende che i consumatori smaltiscono milioni di tonnellate di abbigliamento ogni anno.
Fonte: www.tuttogreen.it